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Joker, 2016
Abstract: Critici e scrittori, in questo libro collettivo, si interrogano sulla natura di Robert Walser, indagano i suoi ultimi anni di vita, i suoi microgrammi, la sua "singolare" follia, che è stata anche una forma di ritiro dal mondo. Allo scrittore di Bienne è ben presente l'abisso in cui sprofonda la ragione. Ma per Robert Walser è necessaria anche la grazia con cui traversare un mondo ostile e comunque accettarlo. L'abisso e la grazia. La grazia e l'abisso. Robert Walser è l'acrobata "grazioso" che mantiene la scrittura come una corda tesa ma lieve sull'orlo del precipizio.
Milano : Adelphi, copyr. 1981
Edizioni del foglio clandestino, 2020
Abstract: Analizzando alcuni temi cari a Walser, Paolo Buzi articola, in un romanzo strutturato in nove racconti, un'originale riflessione su scrittura, diversità e follia.
Il racconto è nudo! : studi su Robert Walser / Leonardo Tofi
[Napoli : Edizioni scientifiche italiane], copyr. 1995
2Collana del Dipartimento di scienze linguistiche e filologico letterarie dell' area anglo-germanica / Università degli studi di Perugia ; n.s., vol. 1
Il passeggiatore solitario : in ricordo di Robert Walser / W. G. Sebald ; traduzione di Ada Vigliani
Milano : Adelphi, copyr. 2006
Abstract: Nato in Germania, W. G. Sebald (1944-2001) è vissuto dal 1970 in Inghilterra, dove ha insegnato Letteratura tedesca contemporanea presso la University of East Anglia a Norwich. Tra le sue opere sono da ricordare: Vertigini, Storia naturale della distruzione, Austerlitz. Il passeggiatore solitario è apparso per la prima volta nel volume Logis in einen Landhaus.
Adelphi, 01/07/2021
Abstract: "Se Walser avesse centomila lettori, il mondo sarebbe migliore".HERMANN HESSE"Questo romanzo ha un qualcosa di sonnambolico, come, per così dire, si fosse scritto da sé. Per svariate ragioni, è per me una pura meraviglia, e se qui appare un genio spesso ancora immaturo e selvatico, tuttavia è un genio, cioè quel caso eccezionale e ogni volta incredibile di un uomo attraverso il quale la vita sembra scorrere come da una brocca gorgogliante".CHRISTIAN MORGENSTERN
Adelphi, 05/05/2022
Abstract: Joseph Marti viene dalle "profondità della società umana, dagli angoli bui, silenziosi, meschini della grande città" e si accinge a varcare la soglia di un'imponente villa sul lago per prendere servizio come assistente dell'eccentrico ingegner Tobler. Si immergerà in un microcosmo borghese dove "famiglia e lavoro sono tanto vicini da toccarsi", abitato dalla sussiegosa moglie di Tobler, dalla ruvida serva Pauline e dai quattro figli che lo guardano "di traverso come un oggetto strano e sconosciuto". Un mondo, in realtà, destinato presto a sgretolarsi: nel volgere di una stagione Joseph – indimenticabile antieroe walseriano dall'esistenza simile a "una giacca provvisoria, un vestito che non calza bene" – assisterà al declino di "padron Toble", le cui dissennate invenzioni lo votano al fallimento. Come Joseph Marti, Walser sembra rivolgere il suo sguardo solo agli avvenimenti minuscoli, alla vita sparpagliata, a tutto ciò che è trascurabile. Il suo tono è leggero, puerile o divagante, il tono delle parole che passano e si cancellano da sole. Tutta la sua esistenza ci riconduce al Bartleby di Melville, l'impeccabile scrivano che non rivelava nulla e non accettava nulla, se non biscotti allo zenzero. "Nulla mi fa più piacere del dare una falsa immagine di me a coloro che ho rinchiuso nel mio cuore" scrisse una volta. E difficilmente potrà evitare l'equivoco su di lui chi non riconosca che ogni sua frase sottintende una precedente catastrofe. È quello che accade in questo romanzo-diario, "compendio di vita quotidiana svizzera", come egli stesso l'ha definito, dove Walser riesce miracolosamente a evocare l'abisso che all'improvviso può spalancarsi sulla liscia superficie di un placido lago, a raffigurarne l'orrore e insieme l'attrazione – raggiungendo uno dei vertici della sua arte.
Adelphi, 21/03/2023
Abstract: Attratto per un'intera vita dal teatro, Walser nutrì una passione non meno incoercibile per le arti figurative, anche in virtù dell'influsso esercitato dal fratello Karl, artista di rara finezza. Ma i quadri davanti ai quali si sofferma in queste pagine sono spesso un pretesto: per parlare di sé e dei ricordi di gioventù, per costruire catene di associazioni – ispirate, magari, da una mostra di antichi maestri. Certi dipinti (la "Venere" di Tiziano, l'"Icaro" di Brueghel il Vecchio, il "Ritorno del figliol prodigo" di Rembrandt) gli suggeriscono un dialogo scenico o un sonetto, altri (un autoritratto, un nudo, un soggetto sacro) suscitano improvvise illuminazioni che si condensano in poche righe fulminanti. Può anche capitare che un Fragonard riveli d'improvviso inaspettati legami con le "Confessioni" di Rousseau, o che le figure di un quadro narrino storie irresistibili. Ironia, poesia, grazia visionaria ci introducono in mondi paralleli, dischiusi all'occhio del poeta (e al nostro) da un semplice colore o da un dettaglio all'apparenza secondario. Con le sue ecfrasi divaganti, tra un affondo estetico e un impeto affabulatorio, un'apostrofe all'"Olympia" di Manet e un'interrogazione (mai retorica) sull'uomo e il suo destino, Walser sa offrirci anche profonde riflessioni sull'essenza dell'arte, nel costante invito a guardare oltre l'immagine: giacché "orbi in certa misura lo siamo tutti, tutti, benché dotati di occhi per vedere".
Adelphi, 21/03/2023
Abstract: Karl Moor, il protagonista dei "Masnadieri" di Schiller, era l'eroe preferito del piccolo Robert Walser: e proprio travestito da Karl lo ritrae, quindicenne, suo fratello. Probabilmente, dunque, non è un caso se il romanzo ritrovato fra le carte lasciate dallo scrittore (quei "microgrammi" di assai problematica decifrazione) riprende il titolo del dramma di Schiller: "Die Räuber". Più che un eroe, però, il brigante che qui si racconta è un antieroe, uno che vive ai margini della buona società di Berna, corteggiando una cameriera di nome Edith, e lasciandosi corteggiare da tutta una serie di signore, che lo vorrebbero o per sé o per le proprie figlie. Quando Edith deciderà di sposarsi, il Brigante le rimprovererà dal pulpito di preferire a lui un uomo mediocre; e lei gli sparerà ferendolo leggermente. Una volta ricaduta l'ondata dei pettegolezzi, ecco il nostro Brigante che, insieme a uno scrittore di professione, si mette a raccontare la propria versione della vicenda. Ed è qui che comincia il vertiginoso gioco di rispecchiamenti fra colui che narra e colui che è narrato, fra lo stesso Robert Walser e il suo Brigante. In questo libro unico, di cui J.M. Coetzee ha scritto che "se fosse stato pubblicato nel 1926 avrebbe mutato il corso della moderna letteratura tedesca", Walser spinge all'estremo la sua arte della dissociazione, che è insieme stilistica e psichica. Il racconto cambia direzione quasi a ogni passo, le immagini si inseguono e sovrappongono, l'ironia e il pathos rischiano di coincidere. È un azzardo ultimo della scrittura, che prelude al silenzio.
Adelphi, 10/10/2023
Abstract: Composti fra il 1902 e il 1936, questi ritratti ci raccontano – con grazia e ironia peculiarmente walseriane – di Goethe, Schiller e Hölderlin, di Kleist, Dickens e Dostoevskij (per fare solo alcuni nomi), ma al tempo stesso molto dicono del loro autore: inclinazioni, idiosincrasie, sogni e gusti. Scelti per empatia o contrasto, per intima risonanza o alterità inconciliabile, gli scrittori su cui Walser si sofferma sono protagonisti di piccole gemme: come quel Brentano fantastico che vediamo accanto a una deliziosa giovane scivolare sulle acque gorgoglianti di un fiume e poi levarsi in volo a cavalcioni della sua chitarra. O figure di quel teatro da cui Walser sempre fu attratto, come il Lenz dell'omonimo dramoletto dedicato all'infelice figura dello Sturm und Drang nonché eroe di Büchner, il quale a sua volta campeggia in due fulminanti ritratti di questa silloge."Scrivere significa accalorarsi in silenzio": coerente con tale assunto, Walser è ora regista, ora improvvisatore, ora sapiente trasformista – e queste prose rarefatte e al calor bianco sono, miracolosamente, altrettante approssimazioni all'immagine segreta che molti degli scrittori di cui qui si parla avrebbero potuto avere di se stessi.I testi qui pubblicati sono usciti dapprima su giornali tedeschi, svizzeri e praghesi e in seguito, assieme a quelli ancora inediti, nelle "Opere complete" curate da Jochen Greven per l'editore Suhrkamp
Adelphi, 10/10/2023
Abstract: Questo primo, piccolo libro di Robert Walser, illustrato dalle deliziose vignette del fratello Karl, viene pubblicato a cento anni dalla nascita del grande scrittore svizzero. Sono pagine che hanno traversato il secolo (erano apparse nel 1903) senza nulla perdere della loro freschezza. Nella prima parte, con tocco leggero e svagato – da 'temi in classe' di un alunno rispettoso e diligente, dietro cui affiora l'ombra di un essere selvatico e imprendibile – esse ci danno un esempio, subito perfetto, di quella che rimarrà l'arte suprema e più praticata da Walser: l'arte della 'piccola prosa', brevi racconti, fantasie, schizzi, dove solo Kafka gli sta a pari. Dopo questi 'temi' Walser ci presenta, invece, alcuni 'ritratti' (del 'commesso', dell'artista – un pittore che assomiglia molto al fratello Karl –, del bosco, che sta a rappresentare la natura tutta): e anche qui lo vediamo tracciare con sicurezza il profilo di personaggi e situazioni che poi sempre lo accompagneranno. Fra questi ritratti spicca, come un'anticipazione su tutta l'opera e la vita di Walser, quello del commesso, questo essere trascurabile e anonimo, che gli scrittori, osserva Walser con la sua perenne ironia, non avevano ancora ritenuto degno di attenzione, forse perché "troppo banale, troppo innocente, troppo poco pallido e deperito, troppo poco interessante, per servire come materia ai signori scrittori". Ma Walser non appartiene ai "signori scrittori", anzi, proprio in quella innocente quotidianità del commesso, dietro cui sta sigillata l'angoscia, riconosciamo il mondo simultaneamente felice e disperato del suo cantore – e anche la scena della sua vita, che fu per anni quella precaria e migrante di un commesso sballottato di posto in posto: un nomadismo inappariscente, che corrisponde al movimento fluido, ininterrotto, della sua prosa.
Adelphi, 28/11/2023
Abstract: Quando "Vita di poeta" fu pubblicato, nell'autunno del 1917, Hermann Hesse lo recensì subito. Nel suo articolo si leggevano le seguenti parole: "Questo Robert Walser, a cui già dobbiamo tanta bella musica da camera, suona in questo nuovo libretto in modo ancora più puro, ancora più dolce, ancora più alato che nei precedenti. Se scrittori come Walser appartenessero agli "spiriti guida", non ci sarebbe più guerra. Se Walser avesse centomila lettori, il mondo sarebbe migliore".Appare e scompare in questo libro, sotto sempre nuove spoglie, il personaggio di un giovane vagabondo, che ama le lunghe camminate e guarda il mondo con stupore. Talvolta dorme sulle panchine o in misere locande. Talvolta osa mettere piede, con la sua innocente insolenza, in locali di lusso. Talvolta si rivolge, con devota galanteria, ad affascinanti figure femminili. Gli capita anche che le mutevoli autorità del mondo, quali un capocameriere o un poliziotto, lo sottopongano a severe reprimende. E ogni volta il giovane vagabondo risponderà con amabile eloquenza. Non c'è nulla di più allarmante, in Walser, di queste insistenze sulle maniere soavi, e perfino vezzose: è lì che sentiamo la prossimità della follia. Un immenso disordine è a portata di mano, ma tanto più il giovane vagabondo continuerà ad avanzare con il suo passo elastico, avventato, con l'incoscienza di chi sa troppo e vuole soltanto celare ciò che sa dietro ampi arabeschi di parole. Ogni volta, ciò che Walser ci racconta è come l'avvio di un "Bildungsroman", di un "romanzo di formazione": ma è una formazione che si tronca subito, per ricominciare poi da capo, con una nuova storia. Il modello segreto, per Walser, non è lo svagato perdigiorno di Eichendorff né il Wilhelm Meister di Goethe, avido di assaporare il mondo. È piuttosto il disperato Lenz di Büchner, che vaga abbacinato, fuggendo qualcosa che lo ha già, per sempre, colpito. Ma, sulla via della scomparsa totale, qui ancora Walser vorrebbe fermarsi al penultimo passo, per quell'amore che pure la vita continua a ispirargli. Allora vagheggia un'esistenza minima e nascosta, come può essere quella di un bottone. E appunto a un bottone Walser rivolge in queste pagine un'appassionata esortazione, che è quasi la sua regola di vita: "Che tu non ti dia alcuna importanza, che tu sia, o almeno sembri essere, tutt'uno con la missione della tua vita, e ti senta interamente consacrato a quel tacito adempimento del dovere che si può chiamare una rosa dallo squisito profumo, bella di una bellezza che è quasi a se stessa un enigma, profumata di un profumo del tutto disinteressato perché non è altro che il suo destino".
Adelphi, 28/11/2023
Abstract: Quando apparvero queste "Storie", nel 1914, un giovane recensore, Robert Musil, mise subito in guardia i lettori: "Uomini di spirito positivo e donne dotate di forte "caritas" troveranno queste trenta piccole storie un po' troppo giocose. Ad esse sarà rimproverato di non dimostrare alcun carattere, di essere capricciose, di gingillarsi con la vita, anzi magari di non avere cuore e di lasciarsi impressionare da quella sbalorditiva determinazione con cui l'insignificante, per esempio una panchina in giardino, talvolta occupa il suo posto nel mondo". Con quella ironica precisione che era per lui la socia inseparabile dell'anima, Musil ha accennato qui alla peculiarità di Robert Walser in un genere letterario, la "prosa breve", in cui oggi lo riconosciamo maestro. Ma le "Storie" non contengono soltanto campioni disparati di "prose brevi": almeno due testi, "Kleist a Thun", uno dei vertici dell'arte di Walser, e "La battaglia di Sempach" hanno una perfetta misura di racconti. Il primo, nella sua tensione, quasi insostenibile, è forse l'unico testo del nostro secolo che sembra proseguire il "Lenz" di Büchner; il secondo è una visione grandiosa, dove il sangue sgorga da araldici fantocci e il cozzare delle armi si blocca in un sospeso miraggio.Dietro la giocosità di Walser, dietro l'ingiustificata euforia che a tratti erompe nelle sue pagine, c'è qualcosa di immensamente oscuro e delicato. Da dove vengono questi suoi personaggi, non solo l'allucinato Kleist ma certe labili "silhouettes" ricorrenti, come il piccolo impiegato Helbling, lo studente Fritz Kocher o il paggio Simon? Benjamin rispose che "vengono dalla notte, là dove essa è più nera, da una 'notte veneziana', se vogliamo, illuminata dai miseri lampioni della speranza, con un qualche splendore festivo nell'occhio, ma turbati e tristi da piangere. Ciò che essi piangono è prosa". Una prosa che tocca una corda molto nascosta e raggiunge la bellezza più rara, quella cui Walser più teneva, quella che si ha "quando in apparenza il bello non lo si avverte affatto, ed è solamente una cosa come sono anche le altre".
Adelphi, 13/07/2017
Abstract: Quello a cui Walser ci invita nelle prose qui raccolte – dove la sua "smania vagabonda" si traduce come sempre in "smania di raccontare" – non è solo un viaggio nella "terra dei laghi" in cui è nato, descritta con un'intensità di sguardo ammaliante. "Seeland", ha scritto Walser, è termine "per così dire europeo o universale" e potrebbe essere "in Australia, in Olanda o altrove". È dunque il luogo sospeso e mutevole degli incontri fuggitivi e della narrazione, in cui l'arte del vagabondaggio è tutt'uno con l'arte della parola (come ben sappiamo dalla gemma qui racchiusa, il racconto "La passeggiata"): la riva del lago o una terrazza ombrosa, una locanda o il prato in cui il viandante si stende. Ed è anche, infine, la coscienza, lo slancio verso il mondo di un melanconico che osserva i paesaggi "con lunghi sguardi silenziosi e attenti", lasciandosi cadere "in balia di un incantesimo", nella certezza che chi osserva è a sua volta attentamente osservato: "Laddove mi stupivo, forse ero a mia volta oggetto di stupore; e se l'ambiente circostante mi appariva incerto e ambiguo, la stessa impressione facevo io a lui. Be', se non altro, era una possibilità. La campagna e tutte le sue bellezze avevano occhi, e io ne ero felice".
Adelphi, 28/08/2018
Abstract: Una Cenerentola che ama servire e farsi battere dalle sorelle; il principe che all'improvviso s'innamora della matrigna di Biancaneve, la quale però gli preferisce il ben più prestante cacciatore ("val quanto diecimila principi"); Rosaspina che respinge il principe azzurro, reo di avere destato lei e gli abitanti del castello dalla beatitudine del sonno. Nei "piccoli drammi" in versi, provocatori rifacimenti – ma sarebbe forse più giusto parlare di sabotaggi – di fiabe dei Grimm, l'invenzione linguistica e l'ironia di Walser toccano uno dei loro vertici. E se la forma metrica ne mostra la natura di compiaciuto, finissimo divertimento letterario, non si può non cogliere nei personaggi, come osservava Benjamin, gli inconfondibili tratti walseriani: "Sono personaggi che hanno dietro di sé la follia, e per questo rimangono di una superficialità così lacerante, così completamente inumana, così impassibile. Se volessimo descrivere con una parola quello che essi hanno di felice e di perturbante, potremmo dire che sono tutti 'guariti'. Ma il processo di questa guarigione ci resta oscuro, a meno di non cimentarsi con la sua Biancaneve – una delle figure più profonde della poesia moderna –, che da sola basterebbe a spiegare come mai questo poeta, all'apparenza il più scanzonato di tutti, sia stato uno degli autori prediletti dell'inesorabile Franz Kafka".
Adelphi, 12/03/2014
Abstract: "La passeggiata" (1919) è uno dei testi più perfetti di Walser, il grande scrittore svizzero che ormai, soprattutto dopo la pubblicazione delle sue opere complete, viene posto accanto a Kafka, a Rilke, a Musil – ammesso cioè fra i massimi autori di lingua tedesca del nostro secolo. Ma "La passeggiata" ha anche un significato peculiare in rapporto a tutta l'opera di Walser: è in certo modo la metafora della sua scrittura nomade, perpetuamente dissociata e abbandonata agli incontri più incongrui, casuali e sorprendenti, come lo è appunto ogni accanito passeggiatore – e tale Walser era –, che abbraccia amorosamente ogni particolare del circostante e insieme lo osserva da una invalicabile distanza, quella del solitario, estraneo a ogni rapporto funzionale col mondo. In un décor di piccola città svizzera, e della campagna che la circonda, il passeggiatore Walser ci guida, con la sua disperata ironia, in un labirinto della mente, abitato da figure disparate, dalle più amabili alle più inquietanti. Da Eichendorff a Mahler, il vagabondaggio è stato un archetipo ricchissimo della più radicale letteratura moderna. Tutta quella grande tradizione sembra condensarsi, quasi clandestinamente, nella "Passeggiata" di Walser, a cui lo scrittore ci invita col suo irresistibile tono: "Lei non crederà assolutamente possibile che in una placida passeggiata del genere io m'imbatta in giganti, abbia l'onore d'incontrare professori, visiti di passata librai e funzionari di banca, discorra con cantanti e con attrici, pranzi con signore intellettuali, vada per boschi, imposti lettere pericolose e mi azzuffi fieramente con sarti perfidi e ironici. Eppure ciò può avvenire, e io credo che in realtà sia avvenuto".
Adelphi, 12/03/2014
Abstract: "Miniaturista per eccellenza, sensibile, attento e nel contempo spiritoso, Walser riesce a comporre in modo assolutamente disinvolto e involontario gioielli di prosa perfetti, ciascuno dei quali possiede la rotondità e la purezza di una poesia". Così scriveva Stefan Zweig, e il suo giudizio non potrà che essere condiviso dal lettore di "Storie che danno da pensare", raccolta di prose – divagazioni letterarie, bozzetti, apologhi – composte tra il 1906 e il 1912, durante il "periodo berlinese". Sono pagine dense e leggere al tempo stesso, in cui qualsiasi oggetto d'osservazione, per un istante, può apparire sotto una luce di rara intensità: dall'"Arlesiana" di van Gogh alle ballerine russe, dall'ingresso dei pantaloni nella moda femminile alla cucina. Walser ci parla della natura onirica del teatro, e anche la sua prosa assume la sostanza dei sogni; ci dice che l'interprete di Kleist "deve aver imparato a danzare con le labbra", e anche la sua penna prende a danzare. E ci trasporta nella vita berlinese del primo Novecento, contemplata con l'occhio avido dell'immigrato dal microcosmo elvetico: "Qui nella metropoli si percepisce bene come vi siano ondate di intelligenza che passano impetuose sopra la vita di una società, pari a un lavacro". Occhio al quale non potranno sfuggire i tipi umani, fissati per sempre in ritratti irresistibili come quello di Kutsch, lo pseudoartista: "Ha sempre paura che qualcuno possa farsi beffe di lui, ma ci sono certe persone che si possono ritrarre fedelmente solo facendosi beffe di loro".
Adelphi, 12/03/2014
Abstract: "Kafka è un caso particolare del tipo Walser", scrisse Robert Musil nel 1914, frase evidentemente ingiusta, ma che pure coglie un nesso essenziale. Grande scrittore che fu amato subito da altri grandi scrittori, come Kafka, Musil o Walter Benjamin, e poi con lentezza, ma sicuramente, ha continuato a conquistarsi lettori fino a oggi, Robert Walser (1878-1956) è, nel nostro secolo, un autore insieme centrale e appartato. Pianta esotica nata sul suolo svizzero, virtuoso del linguaggio, estremo erede dei grandi romantici, dai quali discende la sua meravigliosa, ininterrotta ironia, Walser ha creato un'opera vasta, ma costituita per la maggior parte da testi minuscoli – le sue famose "prose brevi" –, priva di uno sviluppo apparente, sparpagliata e elusiva. In questo minuzioso, immenso tessuto lo "Jakob von Gunten" (1909) è il libro più compiuto, anche il più complesso e il più caro al suo autore.L'azione di questo romanzo-diario si svolge all'interno di un istituto dove alcuni ragazzi imparano a servire. Luogo ambiguo, non si sa se di tortura o di felicità, insieme quotidiano e fantastico, sospeso nel tempo, I'Istituto Benjamenta viene osservato e subìto dal giovane Jakob von Gunten, che ce ne svela progressivamente i segreti e ogni volta li rinnova. Qual è il potere del burbero e tenebroso Signor Benjamenta e della sua angelica sorella Lisa, i due esseri che guidano lo sparuto manipolo degli allievi? Che senso ha lo sconcertante insegnamento dell'istituto, simile a una oscura "educazione a rovescio"? Abbiamo di fronte a noi un turpe inganno o un paradiso camuffato? Come "Il Castello" di Kafka – dove per altro è stato avvertito l'eco dello "Jakob von Gunten" – così anche questo romanzo di Walser ha provocato interpretazioni opposte, che però hanno lasciato intatto il suo mistero: l'immagine dell'Istituto Benjamenta resta come uno dei luoghi memorabili della letteratura del Novecento.Il saggio di Roberto Calasso, che accompagna questa edizione, si propone di individuare una matrice mitologica del romanzo che permetta di leggerlo in una nuova prospettiva.
Verso il bianco : diario di viaggio sulle orme di Robert Walser / di Paolo Miorandi
Exòrma, 2022
Abstract: Nel primo pomeriggio del giorno di Natale del 1956, il corpo senza vita di Robert Walser fu trovato lungo un sentiero di montagna. La celebre fotografia in bianco e nero scattata da un anonimo poliziotto accorso sul posto, e riprodotta su ogni libro dedicato allo scrittore svizzero, lo ritrae disteso sulla neve, adagiato nel bianco. "Verso il bianco" è un pellegrinaggio nei luoghi walseriani, come lo definisce lo stesso autore, una sfida e uno scavo. Paolo Miorandi procede, dal capitolo 7 (sette sono le orme di Walser nella neve) al capitolo 1, che è l’ultimo, viaggiando a ritroso in una delle più profonde ed eccentriche esperienze letterarie del Novecento. Robert Walser, introverso ironico e visionario, amato e ammirato da Kafka e Benjamin, da Musil e Herman Hesse, come da molti altri numi tutelari che hanno cercato di carpirne il segreto – Canetti, Sebald, Seelig – e considerato tra i massimi autori di lingua tedesca del secolo, rimane oggi tra i più invisibili. Ma Gianni Celati ci conforta: “Con l’epidemia di romanzi d’attualità che c’è in giro, e il conseguente crollo dell’intelligenza, Walser resta una specie di luce, un’energia che i media non hanno ancora divulgato e perciò svuotato”.